The Experiment è un film del 2001 diretto in Germania da Oliver Hirschbiegel e tratto dal romanzo Black Box di Mario Giordano, basato a sua volta su un'esperimento carcerario di Stanford condotto dallo psicologo Philip Zimbardo.
Trama del film
Il tassista ed ex reporter Tarek Fahd legge su un giornale la pubblicità di un esperimento organizzato da una squadra di psicologi e decide di parteciparvi. Questo esperimento prevedeva che per due settimane dei volontari avrebbero dovuto impersonare guardie e detenuti in una finta prigione, tutto ciò in cambio di 4.000 marchi. Pensando di poterne ricavare un buono scoop,Tarek va a parlarne al suo ex caporedattore. Si procura anche degli occhiali che possono registrare tutto. I volontari che verranno selezionati per impersonare dodici detenuti dovranno rinunciare a gran parte della loro privacy e dei loro diritti civili. E' però espressamente vietato qualunque atto di violenza da parte di chiunque, altrimenti verranno espulsi. I volontari che dovranno impersonare otto guardie avranno il compito di assicurare il rispetto delle regole e mantenere l'ordine. L'esperimento verrà tenuto sotto videosorveglianza 24 ore su 24 e potrà venir sospeso o interrotto in qualunque momento. Prima dell'inizio dell'esperimento, Tarek ha un incidente stradale con Dora. La ragazza torna dal funerale del padre, la cui morte l'ha profondamente scossa. I due passano la notte insieme, ma dall'indomani Dora perde le tracce di Tarek.
All'inizio dell'esperimento i detenuti lo vedono come un gioco, prendono poco sul serio le guardie e scherzano sul tentativo di queste di mantenere un rigoroso ordine. Il clima inizia però a cambiare fin dall'ora di pranzo del primo giorno, a causa del comportamento di Tarek, che inizia a sfidare con serietà il potere delle guardie: il prigioniero Schütte, infatti, viene obbligato a bere il suo latte, poichè una delle regole è che i pasti vanno consumati per intero, ma Schütte dichiara che il latte gli fa male. Di fronte alle insistenze di una guardia, Tarek beve il latte di Schütte. La prima rivolta collettiva, innescata da Tarek, avviene dopo sole 36 ore. Le guardie iniziano a vederlo come un elemento di disturbo, tanto che il terzo giorno lo portano in un locale privo di telecamere per vendicarsi su di lui fisicamente e consigliarg
li di chiedere agli psicologi di abbandonare l'esperimento. Le guardie si sono presto trasformate in carnefici, umiliando i prigionieri, insultandoli, facendo uso della violenza. La tensione generale tra i detenuti peggiora sempre di più infatti la dottoressa Grimm, ritenendo che l'esperimento stia prendendo una piega pericolosa, propone di interrompere tutto. L'esperimento invece viene lasciato andare avanti e per di più il professor Thon, che sta a capo dell'équipe, si assenta per un giorno. Nel frattempo, un compagno di cella di Tarek, Steinhoff, ha capito che è un giornalista. A sua volta Tarek ha compreso che Steinhoff è un militare, incaricato di studiare da vicino l'esperimento. Per i detenuti è previsto un giorno di visita. Tarek prevede di incontrare il proprio caporedattore, ma all'appuntamento si presenta Dora, che cercandolo nel suo appartamento ha trovato il contratto che lega Tarek all'esperimento. Durante la visita Dora invita Tarek ad andare immediatamente via con lei, ma lui si rifiuta di lasciare la prigione e informa la donna che tramite una guardia, Bosch, le farà avere qualcosa, pregandola di consegnare il tutto al caporedattore e di aspettare i nove giorni che restano perché l'esperimento finisca. La guardia Berus, però, scopre il gioco di Bosch, si presenta al suo posto alla caffetteria e dice a Dora che Tarek ha cambiato idea. Interpretando le manovre di Bosch e Tarek come un sabotaggio e che tutto sia stato congegnato fin dall'inizio per mettere le guardie alla prova, Berus propone l'isolamento totale dall'esterno sia della prigione che delle sale di controllo. Tarek viene rinchiuso in isolamento nella black box. Schütte si oppone al maltrattamento di Tarek e quindi viene pestato a sangue e imbavagliato e legato su una sedia, in seguito muore. Bosch stesso, a causa del suo tradimento, finisce tra i prigionieri. Lars, uno dei ricercatori che controlla l'andamento dell'esperimento, tenta di contattare il professore ma viene catturato dalle guardie e imprigionato. Anche la dottoressa Grimm viene imprigionata quando giunge sul posto. Eckert ha portato con sé una pistola e cerca anche di stuprare la dottoressa Grimm, ma Tarek riesce a liberarsi dalla black box grazie a un cacciavite che ha trovato e, con l'aiuto di Steinhoff, salva la dottoressa in tempo colpendo Eckert, per poi liberare i prigionieri e scappando. Intanto Thon riceve l'ultimo messaggio di Lars e si precipita indietro per terminare l'esperimento. Mentre Tarek e Steinhoff restano indietro per tenere testa a Berus, il professor Thon ritorna nella prigione e va incontro a Eckert, che gli spara accidentalmente ferendolo in testa. Bosh, che si era perso, arriva in tempo per vedere ciò che ha commesso Eckert, perde completamente la ragione e lo uccide furiosamente colpendolo con un estintore. Dora, che era tornata per Tarek, va incontro a Bosh e raccoglie la pistola di Eckert, usandola per ferire le altre guardie mentre queste combattono contro Tarek e Steinhoff. Alla fine rimane solo Berus, che viene sconfitto e quasi strangolato da Steinhoff per tutto quello che ha causato, ma Tarek riesce a convincerlo di risparmiargli la vita. Un telegiornale riporta le morti di Schütte e di Eckert e l'arresto di Berus per i crimini commessi e Thon per avere consentito un esperimento illegale e non etico.
Esperimento carcerario di Stanford
L'esperimento della prigione di Stanford fu un esperimento psicologico condotto da Philip Zimbardo nel 1971, tale esperimento voleva indagare sul comportamento delle persone in una società in cui i soggetti vengono definiti soltanto per il gruppo di appartenenza. Zimbardo prese spunto da alcune idee dello studioso francese Gustav Le Bon, il quale era a favore della teoria della deindividuazione, che sostiene che gli individui all'interno di un gruppo tendono a perdere l'identità personale, la consapevolezza, il senso di responsabilità, alimentando la comparsa di impulsi antisociali. Zimbardo studiò tutto ciò nell'esperimento da lui condotto che prevedeva la simulazione di un carcere, nel quale vi erano guardie e prigionieri. All'esperimento parteciparono 24 uomini, divisi casualmente tra guardie e prigionieri. Questi ultimi dovettero indossare ampie divise sulle quali vi era un numero, un berretto di plastica e una catena alla caviglia e dovettero inoltre seguire severe regole. Le guardie invece dovettero indossare uniformi, occhiali da sole, attraverso i quali i prigionieri non poterono neanche vedere i loro occhi, furono dotati inoltre di manganello, fischietto e manette e venne dato loro libertà di scelta per quanto riguarda i metodi da adottare per mantenere l'ordine.
I risultati dell'esperimento furono drastici e non rientrarono nelle previsioni degli sperimentatori. Dopo due giorni si verificarono i primi episodi di violenza, durante i quali i detenuti cercarono di ribellarsi alle guardie, le quali iniziarono a intimidirli e umiliarli dando loro punizioni assurde. Al quinto giorno i detenuti iniziarono a tenere un comportamento passivo ma soprattutto docile e mostrarono disturbi emotivi; le guardie invece continuarono a comportarsi in modo crudele. L'esperimento venne interrotto, suscitando un forte malcontento nelle guardie, ma soddisfando i detenuti.
Secondo Zimbardo la prigione finta era diventata una prigione vera. Svolgere il ruolo di guardia, porta ad assumere le norme dell'istituzione come unico valore a cui attenersi. Ciò accade poichè il processo di deindividuazione induce a una perdita di responsabilità, quindi non si considerano le conseguenze delle proprie azioni, ma aumenta l'identificazione agli scopi e alle azioni intraprese dal gruppo.
Zimbardo ha scritto inoltre un saggio nel 2007 intitolato "Effetto Lucifero" nel quale vengono analizzate le tesi alla base dell'esperimento. Effetto Lucifero indica il processo secondo il quale l'aggressività è influenzata dal contesto in cui ci si trova.
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